Intervista a Marina Salamon

Nel mondo di oggi quali azioni possono essere messe in campo dal settore privato, profit e no profit, nel supporto dei giovani?

Le aziende, e cioè il settore privato “profit”, hanno il dovere di crescere e innovare: solo così sarà possibile creare nuove opportunità di lavoro e di formazione per i giovani. Questo vale sia per il manifatturiero, che per i servizi. Non intendo solo la crescita del fatturato, ma soprattutto la capacità di modificare le vecchie gerarchie di potere interne, per dare spazio ai più giovani nei ruoli guida.
L’organizzazione delle aziende in Italia è piuttosto tradizionale, così come gli assetti proprietari. Ora, il digitale e la globalizzazione hanno creato la necessità di una forte spinta innovativa, a partire dalle strategie di sviluppo. La grande innovazione necessaria (mercati, prodotti, organizzazione, governance) non potrà avvenire se non si darà realmente spazio ai giovani, coinvolgendoli nelle scelte aziendali. Molti millennials emigrano dall’Italia per lavorare in altri paesi, durante o al termine degli studi: non penso che ciò avvenga solo per ragioni economiche, ma anche di “equal opportunities” al mercato del lavoro. La qualità di vita da essi percepita in Italia è alta, ma non altrettanto avviene riguardo alle opportunità professionali, in diversi ruoli e settori. Nel concreto, molte categorie professionali (avvocati, architetti, commercialisti, etc.) operano in piccoli studi a dimensione poco più che familiare, organizzati come le corporazioni medioevali. Troppe aziende sono ancora guidate dai fondatori, o dai loro eredi non sempre competenti, né in grado di svolgere il ruolo di leader: tutto ciò fa male innanzitutto ai giovani, a causa della mancata meritocrazia.
Tra l’altro, le società “antiche” come la nostra avranno in futuro problemi di crescita economica, e quindi di equilibrio sociale.
Conosco un po’ anche il settore no profit, poiché da molti anni cerco di utilizzare una parte del mio tempo in esso, oltre che nelle nostre aziende. In Italia, le sue caratteristiche non si discostano molto da quelle appena descritte per il “profit”: molte piccolo o medie associazioni, guidate dai fondatori o, comunque, da figure storiche spesso in buona fede, ma culturalmente antiche, con grandi difficoltà ad approcciare la comunicazione, il marketing e il fundraising necessari in futuro, oltre che molto concentrate sulla propria mission tradizionale, forse perché è più faticoso (e, finora, non necessario) innovare, anche nel sociale.

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