Quanti anni avete?
Rispettivamente 26 e 27.
Quando vi siete laureati?
2014 e 2013, entrambi presso l’Accademia di architettura di Mendrisio.
Rispetto alla vostra formazione, quanta distanza c’è tra il dire e il fare?
Non pensiamo molta. Certamente nella realtà l’architetto deve confrontarsi con la fattibilità di un’idea, ma crediamo che la bellezza della nostra professione risieda in questo continuo compromesso.
Lavorate in Italia o all’estero?
Lavoriamo entrambi in Svizzera, a Basilea e in Ticino.
Tre ragioni per cui vale la pena lavorare in Italia e tre ragioni per cui bisognerebbe gettare la spugna?
Perché l’Italia è la nazione dove siamo nati e cresciuti. Perché ci sono ancora persone interessate alla qualità. Perché l’Italia è bella.
Perché la nostra professione non è tutelata. Perché nella maggioranza dei casi c’è confusione e mancanza di professionalità. Perché nell’ambito pubblico l’architettura è uno strumento usato dalla politica.
Sogno nel cassetto?
Sviluppare un linguaggio coerente all’intenzione.
Impressioni sul sito di progetto e sui paesaggi industriali biellesi?
La parte del complesso che più ci ha fatto sognare durante la visita é stata la via interna; una spina dorsale che fa da collante ad epoche diverse, una promenade dove migliaia di persone si sono incontrate, un posto dove sono stati fatti sogni e che pullulava di vita. Un luogo che oggi è assente, ma un luogo in cui vediamo un grande potenziale.
Un progetto che vi rappresenta?
Il progetto per un concorso a cui abbiamo partecipato circa un anno fa; che richiedeva la progettazione di uno champagne bar vicino al Pont des Arts a Parigi. La nostra proposta è stata quella di non realizzare un bar permanente sulle sponde della Senna, ma di realizzarne uno temporaneo al di sopra del ponte stesso. Pensiamo che questo progetto ci rappresenti poiché la proposta si pone l’obiettivo di dialogare con le preesistenze e di rispettare le abitudini dei Parigini, i quali si ritrovano giornalmente sul ponte per passare il tardo pomeriggio.