Quanti anni avete?
Rispettivamente 29 e 27 anni.
Quando vi siete laureati?
Rispettivamente nel 2012 e nel 2013.
Rispetto alla vostra formazione, quanta distanza c’è tra il dire e il fare?
Entrambi ci siamo laureati in Svizzera all’Accademia di architettura di Mendrisio. Entrambi abbiamo anche frequentato altre università: Andrea Roma3 e la FAUP di Porto e Francesca la ETSAM di Madrid. Avendo un buon margine di paragone dobbiamo dire che esserci laureati in Svizzera ci ha dato un certo vantaggio sia nella ricerca di un lavoro che nella qualità della nostra formazione. Sottolineiamo questo per rispondere alla domanda, perché crediamo che l’attitudine che si forma in un ambiente come quello è necessariamente “del fare”. Non si tratta di un sapere prettamente teorico ma basato sull’apprendimento empirico e manuale. Entrambi stiamo ora collaborando con altri studi proprio per approfondire questo aspetto che ovviamente l’università non può soddisfare da sola.
Lavorate in Italia o all’estero? Tre ragioni per cui vale la pena lavorare in Italia e tre ragioni per cui bisognerebbe gettare la spugna?
La questione del lavoro in Italia o all’estero è spesso uno dei motivi di discussione anche tra di noi. Per la nostra personale esperienza possiamo dire che all’estero, ora come ora, si impara di più e meglio: perché ci sono più soldi con i quali permettersi di sperimentare, più apertura rispetto alla nostra professione (spesso in Italia l’architetto è considerato un bene di lusso e non una necessità reale), e di conseguenza più lavoro. Non siamo scoraggiati da questo. Anzi, cerchiamo di trarne il massimo vantaggio; seminiamo con pazienza! E lo facciamo per il momento con un piede in patria, per non perdere i contatti (lavorativi) e vedere come si evolve lo scenario architettonico qui; e un piede “fuori” perché è lì che ora c’è più fermento; è lì che si fa ancora affidamento per portare lo stipendio a casa alla fine del mese ed è lì che si può anche attingere, imparare, per poi portare in Italia i frutti positivi di questa “semina a lungo raggio”.
Sogno nel cassetto?
Sogno nel cassetto è quello di riuscire prima o poi a tornare definitivamente in Italia per vivere esclusivamente del nostro personale lavoro, senza dover fare i salti mortali per gestire il lavoro presso qualcun altro di giorno e il nostro di notte o nei ritagli di tempo.
Impressioni sul sito di progetto e sui paesaggi industriali biellesi?
L’archeologia industriale ha sempre affascinato gli architetti perché questo paesaggio costruito rappresenta in sé una sfida per riconsiderare la dimensione temporale dell’architettura come un fattore dinamico e permanentemente in processo. Sarà questo il fulcro della nostra indagine.
Un progetto che vi rappresenta?
Il nostro progetto Casa.Casa parla di città, di periferia, di interstizio. Casa vuole appropriarsi, o meglio ri-appropriarsi, dei residui abbandonati dello spazio che abitiamo; vuole costruire uno spazio nuovo dalla “modificazione tenue” dell’esistente.Casa è un’operazione di cura del territorio, un’ideale leggero e sostenibile per occupare in maniera creativa lo spazio antropizzato. Casa ricicla lo spazio-spazzatura. Casa è radicale, manicheo, sottile, nomade, mutevole. Casa cancella i muri, libera il campo alle relazioni. Casa arriva una mattina di primavera e, all’improvviso, non c’è già più.
